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Depistaggio Mattarella, l’ex prefetto cambia versione

Nuove ombre sull’omicidio di Piersanti Mattarella. L’ex prefetto Filippo Piritore, accusato di aver depistato le indagini facendo sparire un reperto chiave, cambia ancora versione davanti al gip. Dichiarazioni confuse, ricordi smentiti e un passato che riapre ferite profonde nella storia della Sicilia degli anni di piombo e degli attentati mafiosi.

di Chiara Scucces -

I ricordi che si fanno incerti, le versioni che cambiano, le certezze di un tempo che si dissolvono. Davanti al gip, Filippo Piritore – ex funzionario della Squadra Mobile ed ex prefetto – non è più lo stesso uomo che, solo un anno fa, davanti ai magistrati della Procura di Palermo, aveva ricostruito nei dettagli la sorte del guanto in pelle trovato nella Fiat 127 usata per la fuga da uno dei killer di Piersanti Mattarella. Durante l’interrogatorio preventivo, Piritore appare teso, agitato. Parla di confusione, di ansia, di frasi forse “interpretate male”. “Mi professo innocente – dice al giudice – probabilmente ero agitato quando ho detto quelle cose”. Ma le sue parole segnano un netto passo indietro rispetto alle dichiarazioni precedenti.

Se nel 2024 aveva raccontato di aver consegnato il guanto a un agente della Scientifica, tale Di Natale, perché lo portasse al sostituto procuratore Piero Grasso, oggi afferma di non ricordare, di non essere neppure certo di aver mai conosciuto quell’agente. “Non era un mio onere repertare i beni”, precisa, aggiungendo di aver solo saputo “da qualcuno” che il guanto era stato preso da Di Natale.

La confusione aumenta quando il nome di “Lauricella”, che Piritore in passato aveva indicato come altro poliziotto incaricato della consegna del reperto, si rivela infondato: alla Scientifica, in quegli anni, nessun Lauricella risulta in servizio. “Mi sarò spiegato male”, si difende l’ex prefetto, cercando di ridimensionare il proprio ruolo nell’indagine sull’omicidio del presidente della Regione siciliana, avvenuto il 6 gennaio 1980.

“Io non ho occultato nulla – ribadisce –. Qualcuno mi avrà detto di procedere in quel modo, forse i miei dirigenti dell’epoca. Ho fatto solo il mio dovere”. Racconta poi di essere arrivato sul luogo del ritrovamento dell’auto solo perché reperibile in quel giorno di festa e di non essersi mai occupato direttamente dell’inchiesta.

Una versione che non ha convinto il gip Antonella Consiglio, che descrive Piritore come un soggetto ancora in grado, grazie alle sue relazioni, di interferire con l’indagine.

a vicenda riporta alla memoria una delle pagine più drammatiche della storia siciliana, segnata dagli anni di piombo e dagli attentati mafiosi che insanguinarono Palermo e l’intera isola. L’uccisione di Piersanti Mattarella, presidente della Regione che tentò di rinnovare la politica isolana all’insegna della legalità, aprì la lunga stagione di violenza culminata con gli omicidi di Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e, più tardi, con le stragi del ’92 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Oggi, a quasi 45 anni di distanza, il mistero attorno a quel guanto scomparso riporta l’attenzione su una ferita mai rimarginata per la Sicilia e per il Paese.

Dopo la decisione del giudice, che ha disposto per lui la misura dei domiciliari con l’accusa di depistaggio, l’ex prefetto – difeso dagli avvocati Gabriele Vancheri e Dino Milazzo – ha già annunciato che presenterà ricorso al Tribunale del riesame.