Catania

“Era uno di noi”: dolore e rabbia sui social per la morte di Santo Re

L’aggressione raccontata da chi c’era

di Redazione Video Regione -

Dolore, commozione e rabbia si sono riversati sui social dopo l’efferato omicidio di Santo Re, il giovane pasticcere di appena 30 anni, ucciso a coltellate da John Obama, 37enne dello Zimbabwe, parcheggiatore abusivo senza permesso di soggiorno. La tragedia ha scosso profondamente amici, colleghi e cittadini.

Il dolore dei colleghi e l’ultimo saluto

Tra le tante voci che si sono levate nelle ore successive al delitto, quella di Samantha, collega e amica di Santo, ha colpito per intensità e lucidità. In un lungo post pubblicato su Facebook, la donna ha raccontato gli ultimi istanti di vita del giovane, condividendo lo strazio vissuto da chi gli è stato accanto fino alla fine:

«Gli ultimi secondi di vita Santo li ha passati con noi a cercare di restare vivo. Stasera, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre mi toglievo i vestiti fatti di sangue, mi saliva la rabbia. Perché non è giusto. Era uno di noi. Non scordatevi che non ci dimenticheremo di lui».

Una denuncia contro lo Stato

Nel suo sfogo, Samantha non si è limitata al racconto, ma ha espresso una forte accusa al sistema giudiziario e istituzionale, che – a suo avviso – non ha saputo prevenire l’ennesimo atto di violenza:

«Santo non è morto solo per mano di un assassino. È stato assassinato da un sistema viziato dalla burocrazia, pieno di cavilli. Santo è morto per mano di chi percepisce denaro per ogni persona entrata illegalmente nel nostro Paese. È morto di negligenza da parte dello Stato».

L’aggressione raccontata da chi c’era

Nel ricordo straziante, la collega ha ricostruito passo dopo passo i drammatici attimi dell’aggressione:

«Aveva finito il turno, felice di tornare a casa da sua moglie e dalla sua bambina di pochi mesi. Ha incontrato quel parcheggiatore abusivo a cui aveva regalato vestiti e spesso offerto da mangiare. E quello stesso uomo, senza un apparente motivo, lo ha colpito con violenza con un coltello. Santo era buono, non è riuscito nemmeno a reagire. È riuscito solo a tornare verso il bar, dove sapeva di trovare la sua famiglia. Si è accasciato, ha perso tanto sangue. I soccorsi non sono arrivati tempestivamente. E lì la sua vita è finita».

Una ferita aperta per un’intera comunità

Un ricordo che è diventato denuncia, testimonianza e grido collettivo. Un dolore che ora si fa memoria viva, per non dimenticare Santo, e per chiedere giustizia.