Trapani
Latitanza di Messina Denaro, la Corte d’Appello conferma: 14 anni ad Andrea Bonafede
Processo con rito abbreviato, ma condanna pesante
La Corte d’Appello di Palermo ha confermato la condanna a 14 anni di reclusione per Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara (Trapani) che fornì la propria identità al boss mafioso Matteo Messina Denaro, consentendogli di prolungare la sua latitanza fino all’arresto, avvenuto il 16 gennaio 2023.
La sentenza, già emessa in primo grado dal Gup Paolo Magro l’11 giugno 2023, è stata dunque ritenuta pienamente legittima anche in appello. Bonafede, classe 1963, aveva prestato i propri documenti al capomafia di Castelvetrano, coetaneo (nato nel 1962), che li utilizzava regolarmente anche durante le cure per il tumore presso la clinica La Maddalena di Palermo, dove venne infine catturato.
Processo con rito abbreviato, ma condanna pesante
Nonostante il processo si sia svolto con rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, la condanna è rimasta severa, segno della gravità del reato contestato. Il giudice di primo grado aveva accolto integralmente le richieste dei pubblici ministeri Gianluca De Leo e Pierangelo Padova. Oggi la Corte ha ritenuto fondate le tesi accusatorie, condivise anche dalla Procura generale.
Il ruolo chiave nell’ultima fase della latitanza
Secondo l’accusa, Bonafede ha avuto un ruolo decisivo nell’ultima fase della latitanza del capomafia, morto il 25 settembre 2023 nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila, dove era stato trasferito dopo la cattura. Usando l’identità di Bonafede, Messina Denaro era riuscito a sottoporsi a terapie e spostarsi indisturbato, eludendo la sorveglianza degli investigatori per anni.
Con la conferma della condanna in appello, si chiude un altro capitolo della lunga fuga del boss, tra i più ricercati al mondo fino alla cattura. La vicenda rimane emblematica del sistema di protezione e complicità che ha garantito l’impunità a uno dei protagonisti di spicco di Cosa nostra.