Attualità
L’esito del summit di ieri in Alaska tra Trump e Putin.
L'alce e l'orso in Alaska
Accolto con il tappeto rosso, una stretta di mano calorosa e una pacca sulla spalla dal padrone di casa, il Presidente Donald Trump … 15 minuti di colloquio riservatissimo accettando, fuori protocollo, il passaggio sull’auto presidenziale americana e infine gelido ma cordiale fino a invitare a Mosca al suo omologo americano: Vladimir Putin dal summit di ieri in Alaska ne esce bene a guardare le cose dalla prospettiva della Russia, poco ma sicuro. Trump nelle dichiarazioni alla stampa (non una conferenza stampa poiché alla fine nessuna domanda è stata concessa ai giornalisti) è stato ancora più sintetico e caustico lasciando un margine di ottimismo ma nei fatti si è capito che ora sta al presidente ucraino Zelensky e ai leader europei che lo sostengono accettare molte delle condizioni russe se si vuole il cessate il fuoco.
“Lunedì – ha detto proprio Zelensky poco fa – incontrerò il Presidente Trump a Washington per discutere tutti i dettagli relativi alla fine delle uccisioni e della guerra”. L’Unione Europea ieri ha fatto da spettatrice, nei prossimi giorni dovrà trovare un ruolo da protagonista se non vorrà assistere in maniera supina a decisioni che potrebbero passare esclusivamente per le due superpotenze militari del pianeta. La sintesi è questa, il resto sono tantissimi dettagli più o meno importanti. Vanno dette due cose però: di come questa storia della guerra in Ucraina sta andando a finire non c’è molto da stupirsi. Prima ancora che leader delle rispettive grandi nazioni Putin e Trump sono individui. Trump, piaccia o non piaccia, è un abilissimo uomo d’affari e le sue strategia, fanfaronaggine compresa, puntano a ottenere il massimo risultato per sé, per la sua leadership, per gli USA. Putin è un ex colonnello del KGB senza scrupoli e in una guerra non ha certo grandi margini di trattative. Sono fatti. E poi la politica estera statunitense dal dopoguerra in poi è sempre stata la stessa: interventi militari (diretti o indiretti) fin quando serve e poi si lasciano i teatri di guerra al loro destino. Anche la politica estera dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi non è mai cambiata (“non si cede di una virgola” potremmo dire) e che ieri il ministro degli esteri Lavrov indossasse una felpa con la scritta CCCP, la sigla in cirillico dell’URSS, non è stato certo un caso. L’unica differenza è che per una decina d’anni (diciamo dal 1989 al 2000) la Russia si era così indebolita da andarsene in letargo, come un orso. Ora si è risvegliata. E allora ecco la metafora naturalistica che la fauna dell’Alaska ha offerto in queste ore con le telecamere di tutto il mondo puntate davanti alla base militare di Anchorage: a fare compagnia ai giornalisti si sono visti un grosso alce e un orso pericoloso. Sappiamo di sicuro che l’orso è l’animale simbolo della Federazione Russa … per l’Alce dobbiamo pensarci un po’.