Cronaca

Messina Denaro, i pizzini e i nomi in codice

La regola non osservata dal boss e dalla sorella

di Leonardo Emmolo -

Per comunicare durante la lunga latitanza, il superboss Matteo Messina Denaro si è affidato al “tradizionale” metodo dei pizzini. E’ uno dei tanti dettagli venuti fuori dall’inchiesta culminata oggi con l’arresto di Rosalia Messina Denaro, sorella del superboss e “vera e propria collettrice dei biglietti del fratello”.

I nomi in codice e la “catena”

Sono decine i pizzini scoperti dopo la cattura dell’ex latitante. Trattasi di messaggi scritti a penna, arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso avvolti in piccoli pacchetti, e indirizzati a destinatari indicati con nomi in codice di “Fragolone (soprannome della sorella Rosalia ndr), Fragolina, Condor, Ciliegia, Reparto, Parmigiano, Malato, Complicato, Mela“. I biglietti venivano veicolati attraverso una catena, più o meno lunga, di fedelissimi, che lo stesso boss, nei suoi scritti, definiva “tramiti”.

Un sitema quasi perfetto

In questo sistema di comunicazione, in apparenza senza difetti, c’era una falla. Per anni Messina Denaro ha adottato tantissime cautele, su tutte quella di non Iasciare traccia dei pizzini che venivano rigorosamente distrutti dopo la lettura.

La regola non rispettata

Stavolta però il boss sarebbe stato il primo a non osservare la regola avendo la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, – scrive il gip – e talvolta di conservare la posta, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte“.

I biglietti

Un errore che avrebbe commesso anche la sorella Rosalia che, si legge nella misura cautelare, “ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei pizzini ricevuti dal fratello o comunque, ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e occultati nella sua abitazione a Castelvetrano e nella sua casa di campagna a contrada Strasatti di Campobello di Mazara“.

Il ruolo da tramite della sorella

Sviste che hanno consentito ai Carabinieri di acquisire “preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante nel corso degli anni svolto dalla donna“.