Attualità
Scarichi ‘leciti’ inquinanti nel fiume Gela
La Procura: 'Abbiamo le mani legate'
Nel fiume Gela, l’acqua cambia colore. A volte è nera come l’olio, altre viola, altre ancora di un inquietante rosa. E quando scorre, porta con sé un odore acre, quasi insopportabile. Una scena a cui i gelesi si sono tristemente abituati nel tempo. Le segnalazioni di sversamenti si ripetono, ciclicamente. Nel tempo abbiamo raccontato di acque maleodoranti, di pozze di colore innaturale, di schiuma che galleggia sulla superficie come una coperta tossica.
Eppure — e qui sta il paradosso — tutto questo, almeno in parte, sarebbe perfettamente lecito. La denuncia arriva direttamente dal Procuratore Capo della Procura di Gela Salvatore Vella, che da tempo sul suo tavolo ha il fascicolo relativo al Fiume.
Cento piazzali da cui, ogni volta che piove, defluiscono tonnellate di acqua che trascinano residui di carburanti, oli, detergenti e sostanze chimiche. Acque che finiscono dritte nel fiume Gela, in un sistema di scarichi che la legge — paradossalmente — considera regolare.
Attività lecite, dunque, non sanzionabili penalmente. Ma il cui impatto ambientale è enorme. In altre regioni, come la Toscana o la Puglia, queste acque devono essere trattate. In Sicilia, no. È una scelta normativa, e tocca alla politica decidere se cambiarla. Una legge che di fatto lega le mani alla procura.
Un ecosistema fragile, lasciato senza difese da una burocrazia che distingue tra “illecito” e “inquinante”. Ed è lo stesso procuratore Vella a lanciare un appello alla politica: serve una legge che metta fine a questa zona grigia.
Perché, finché tutto resterà “lecito”, l’acqua del fiume Gela continuerà a cambiare colore — e con lei, anche la coscienza di un territorio che da troppo tempo aspetta giustizia ambientale.