Catania

Operazione ‘Leonidi bis’, il boss dava ordini dal carcere con il telefonino

Alcuni boss di Cosa nostra, nonostante la detenzione, siano riusciti a mantenere il controllo delle attività criminali

di Sergio Randazzo -

Diversi capi storici della ‘famiglia’ catanese di Cosa nostra, avrebbero continuato a impartire ordini dal carcere, comunicando illecitamente con i sodali liberi. Questo è quanto emerge dall’inchiesta ‘Leonidi bis’ condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catania. L’indagine ha rivelato l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari all’ingresso di dispositivi di comunicazione, che permettevano ai detenuti di mantenere contatti quotidiani con l’esterno.

Tra i boss coinvolti nell’inchiesta c’è Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata, assieme al fratello Santo. Battaglia, già condannato in via definitiva per mafia e omicidio, è accusato di aver continuato a fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, nonostante il suo stato di detenuto. Secondo l’accusa, Battaglia riceveva informazioni dagli affiliati, rimanendo costantemente aggiornato sulle attività in corso e impartendo direttive su incontri e gestione dei proventi delle attività illecite del gruppo.

Un’altra figura chiave emersa dalle indagini è Salvatore Gurrieri, esponente della vecchia generazione di affiliati. Detenuto in un istituto penitenziario del Nord Italia, Gurrieri avrebbe avuto la possibilità di veicolare informazioni tra i sodali liberi e altri detenuti, oltre a pretendere erogazioni di denaro. Le indagini dei Carabinieri, secondo la DDA di Catania, hanno dimostrato che Gurrieri e altri affiliati detenuti erano in grado di mantenere un controllo sulle dinamiche criminali, continuando a esercitare un’influenza significativa sulla cosca.

Queste rivelazioni dimostrano come alcuni boss di Cosa nostra, nonostante la detenzione, siano riusciti a mantenere il controllo delle attività criminali, sfruttando la permeabilità delle carceri italiane per ottenere dispositivi di comunicazione illeciti. L’inchiesta ‘Leonidi bis’ mette in luce la necessità di rafforzare le misure di sicurezza all’interno degli istituti penitenziari per impedire ai detenuti di continuare a gestire le loro organizzazioni criminali dall’interno delle carceri.