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Suicidio nel carcere di Ragusa, rivolte e riflessioni

Il detenuto che si è tolto la vita aveva 25 anni, era sposato e padre di tre bambini

di Chiara Scucces -

L’ennesimo episodio di un suicidio in carcere questa volta ci tocca da vicini; perchè C.S (queste le sue iniziali) si è ucciso nel carcere di Ragusa. Aveva solo 25 anni, era sposato e papà di tre bambini ed era originario di Noto; ha deciso di porre fine alla sua giovane vita forse schiacciato da un peso che non sentiva più di poter sopportare.

Alla sua morte, nel carcere di contrada Pendente, gli altri detenuti hanno scatenato una rivolta in segno di protesta verso le istituzioni che dovrebbero tutelarne i diritti e la salute mentale; una protesta riferita all’esiguo numero di operatori capaci di fornire un supporto psicologico e ad una sanità locale incapace di fornire adeguati servizi assistenziali all’interno dell’istituto. La rivolta, fanno sapere i sindacati di polizia penitenziaria, è iniziata intorno alle 22:00 ed è stata sedata solamente intorno alle 2.30 del mattino. Necessario il richiamo urgente in servizio di agenti non di turno e il dispiegamento di altre forze dell’ordine.

Al di là del grido di allarme, più volte lanciato riguardo l’inadeguatezza degli organici della polizia penitenziaria, e l’annuncio di iniziative di protesta per porre l’attenzione sul carcere di Ragusa, a partire dalla richiesta di un urgente incontro con il Prefetto, rimane il dolore e l’amarezza per l’ennesimo gesto di disperazione consumatosi fra le sbarre.

Totò Cuffaro, oggi presidente delle Dc, che la dura realtà del carcere ha conosciuto molto bene, scrive parole accorate e piene di tanto rammarico e sofferenza a proposito di questa ennesima tragedia e lo fa sulla sua pagina Instagram mentre si trova in Burundi: “Non conoscevo questo ragazzo vittima di una morte invisibile: mi hanno raccontato di lui le poche notizie che circolano, ma una su tutte mi ha colpito, quella del suo sorriso davanti all’espiazione della pena che, però, non è bastato per tenerlo legato alla speranza, come non è bastato l’amore per i suoi bambini e per sua moglie a strapparlo dalle braccia della morte. Penso che mi sarebbe piaciuto camminare accanto a questo ragazzo, fare con lui un pezzo di strada, creare una esperienza viva in quella drammatica realtà che ti toglie il fiato come in carcere. Magari, chissà, aiutandolo a scegliere la vita anziché abbracciare la morte. Quella del carcere è una esperienza dall’odore incancellabile, c’è il dolore in tutta la sua sacralità, e se mi soffermo un attimo batte ancora con urgenza quel dolore. Venticinque anni sono troppo pochi, troppo pochi. Fai buon viaggio ragazzo, alla tua famiglia e ai tuoi bambini giunga tutto il mio cordoglio”